Il 20 maggio ricorre il 1700° anniversario dell'apertura del Concilio di Nicea, considerato il primo concilio ecumenico della storia della Chiesa. Per celebrare questa data, la Commissione Teologica Internazionale (CIT) ha pubblicato all'inizio di aprile il documento "....Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. 1700 anni dal Concilio ecumenico di Nicea. 325-2025".
La Commissione Teologica Internazionale
Per comprendere l'importanza di un tale documento, è utile ricordare la natura dell'ICE. L'ICE, istituita dal Papa San Paolo VI nel 1969, è composto da un massimo di trenta "specialisti in scienze teologiche di diverse scuole e nazioni che si distinguono per la loro conoscenza, prudenza e fedeltà al magistero".
I membri dell'ICE sono nominati dal Papa per un mandato di cinque anni, rinnovabile, e la loro missione è quella di "studiare le questioni dottrinali di particolare importanza, specialmente quelle nuove, per assistere il Magistero della Chiesa, e in particolare la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, nel cui ambito è stata istituita" (Statuti, art. 1).
Ciò significa che i documenti dell'ICE contengono una riflessione teologica che i membri della Commissione mettono al servizio del Magistero della Chiesa, senza essere essa stessa magistero ufficiale. Quando questi documenti sono approvati dal Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, vengono resi pubblici e accessibili a tutte le parti interessate.
A partire dal Concilio di Nicea
L'ICE aveva già trattato le questioni cristologiche nei documenti del 1979, 1981, 1983 e 1995. Il presente documento prende spunto dall'insegnamento di Nicea e fa riferimento a vari aspetti del mistero cristiano come la creazione, la Chiesa, l'antropologia, l'escatologia e, naturalmente, la dottrina di Dio Trinità e di Cristo Salvatore.
Forse perché affronta così tante questioni, il documento finale, frutto del lavoro della sottocommissione incaricata di redigere il testo e approvato dalla plenaria dell'ICE e dal prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, è molto ampio. In questo senso, il testo del Simbolo niceno (anche se è indicato che hanno davanti a sé il Simbolo niceno costantinopolitano del 381, che completa alcuni aspetti di quello del 325) e i canoni approvati al concilio, che insieme costituiscono un testo piuttosto breve, sono serviti come punto di partenza per offrire un'ampia riflessione su vari aspetti centrali della teologia.
La struttura del documento
Il documento è strutturato in quattro capitoli. Il primo è una lettura dossologica del simbolo con uno sguardo alla cristologia, alla soteriologia e alla Trinità, in vista dell'unità dei cristiani. Il secondo capitolo ha un contenuto patristico ed esamina anche la liturgia e la preghiera cristiana. Il terzo mira a mostrare che l'evento di Gesù Cristo offre un accesso senza precedenti a Dio e comporta una vera e propria trasformazione del pensiero umano.
Infine, il quarto e ultimo capitolo analizza "le condizioni di credibilità della fede professata a Nicea con un approccio basato sulla teologia fondamentale, che attualizzerà la natura e l'identità della Chiesa come autentica interprete della verità normativa della fede attraverso il Magistero, custode dei credenti, soprattutto dei più piccoli e vulnerabili" (n.5).
La dimensione interculturale del Concilio di Nicea
Il documento non fa esplicitamente riferimento all'accusa di ellenizzazione del cristianesimo. Questo termine è stato usato da alcuni teologi protestanti per riferirsi al processo di formulazione dogmatica utilizzando termini della filosofia greca, come - nel caso di Nicea - "ousia" e "homousios". Secondo A. von Harnack, le formule dogmatiche sono una corruzione della purezza del Vangelo.
L'ECI, invece, si riferisce positivamente all'incontro tra culture avvenuto al Concilio, alla "dimensione interculturale di cui Nicea è un'espressione fondante". Questa dimensione può essere vista anche come un modello per il periodo contemporaneo. Nicea ha utilizzato categorie greche come "ousia" da cui deriva "homousios" per esprimere la vera natura divina del Figlio. La Chiesa", si legge al n. 89, "si è espressa con queste categorie greche in modo normativo e... esse sono perciò legate per sempre al deposito della fede".
Allo stesso tempo, "nella fedeltà ai termini propri di quell'epoca e che vi trovano la loro radice viva, la Chiesa può ispirarsi ai Padri niceni per cercare oggi espressioni significative della fede in lingue e contesti diversi". E conclude: "Nicea rimane un paradigma di ogni incontro interculturale e della possibilità di accogliere o forgiare nuove forme autentiche di espressione della fede apostolica".
Il Concilio di Nicea e l'opera salvifica di Cristo
Un'altra questione che viene sottolineata nel documento dell'ECI è l'aspetto soteriologico dell'insegnamento del simbolo niceno. È un aspetto che vale la pena sottolineare per evitare una considerazione unilaterale della cristologia, come se potesse esistere separatamente dalla soteriologia, l'opera salvifica di Cristo.
La sottocommissione dell'ECI che ha prodotto il documento ha fatto un lavoro molto lodevole, perché ha cercato di trattare varie questioni centrali della teologia cristiana attraverso il rapporto che possono avere con l'insegnamento di Nicea. Il compito non è stato facile, perché i documenti di Nicea (il simbolo soprattutto, ma anche i canoni) sono un testo breve e non è possibile andare agli atti del concilio per contestualizzare il suo insegnamento, perché non sono conservati.
Pluralismo teologico
Nel tentativo di trarre conclusioni su diversi aspetti del mistero cristiano dalla ridotta base documentaria di Nicea, è difficile non forzare in qualche misura il ragionamento teologico. Una maggiore specificazione dell'oggetto, che implica una delimitazione del campo di analisi, avrebbe sicuramente permesso di presentare un testo più breve e chiaro.
La lettura del documento che stiamo commentando ci pone di fronte a un testo teologico in cui i suoi autori espongono giudizi di valore e spiegazioni che ricevono da altri teologi (basta guardare i riferimenti nelle note che servono come base per le loro affermazioni). In questo senso, essi danno prova di un legittimo pluralismo teologico. In alcuni casi, però, ciò che viene affermato potrebbe essere più sfumato. Faccio solo un esempio. Al n. 87 leggiamo che "l'autore degli Atti si ispira alla poesia epica dell'Odissea per narrare i viaggi di Paolo"; oppure che "alcuni passi del Nuovo Testamento recano tracce di un vocabolario ontologico greco", e in nota leggiamo: "Per esempio, l'"egō eimi" della IV vangelo, o la terminologia di Eb 1,3 o 2 Pt 1,4". La discussione che tali affermazioni susciterebbero sarebbe senza dubbio ricca di interesse, ma mi chiedo se il luogo più appropriato per esse sia un documento dell'ECI che, pur non essendo espressione del magistero, gode di una certa autorità ufficiale.
Dottore in Teologia. Professore emerito di Teologia fondamentale e dogmatica.